
Colosseo: magnifica opera, icona nel mondo
Colosseo, più di ogni altro edificio o opera d’arte, rappresenta in pieno la città di Roma, intesa non solo come luogo fisico, ma anche e soprattutto, come simbolo di una storia millenaria in grado di rinnovarsi continuamente dalle vestigia del proprio passato per reinterpretarsi in una chiave nuova ed inedita, benché sempre saldamente ancorata alla tradizione di un passato imperiale.
E l’intenzione di incarnare il concetto trionfalistico di romanità la ebbe sin dall’inizio della sua storia. L’Anfiteatro Flavio venne fatto edificare dall’imperatore Vespasiano – che apparteneva alla dinastia dei Flavii – con l’intenzione di dotare finalmente l’Urbe di un anfiteatro (cioè un edificio adibito alla rappresentazione di varie tipologie di spettacolo) stabile, in muratura.
Per la sua costruzione, iniziata tra il 70 e il 72 d.C. scelse una zona immediatamente a ridosso del Foro, il centro pulsante della vita romana. L’area era originariamente occupata da uno stagno artificiale fatto scavare da Nerone per servire la sua personale Domus Aurea, che sorgeva sul vicino Colle Oppio. Vespasiano, che disponeva di ingenti fondi acquisiti in seguito all’assedio di Gerusalemme, fece prosciugare lo specchio d’acqua per far posto alla nuova meraviglia architettonica: un edificio a pianta ellittica, ripartito in tre ordini, che raggiungeva originariamente l’altezza di 52 metri e si estendeva su una superficie superiore ai 3.000 (!) metri quadrati, in grado di ospitare circa 50.000 spettatori.
La struttura era interamente rivestita in travertino, il marmo bianco tipico della capitale, e le arcate, che oggi ci fissano con il loro occhio vuoto, accoglievano 80 statue bronzee, la cui lucentezza metallica contrastava singolarmente con il candore delle mura. La cavea interna – ovvero lo spazio a gradoni riservato agli spettatori – era suddivisa in cinque livelli, che corrispondevano grosso modo alle ripartizioni dei teatri moderni: la prima fila (o ima cavea) vicinissima ai bordi dell’arena; la platea, a sua volta distinta in bassa e alta; la prima galleria, e, alla sommità dell’edificio, la seconda galleria, detta anche balconata o loggione.
La suddivisione dello spazio rispecchiava fedelmente quella della variegata società romana: l’ima cavea era riservata ai VIP dell’epoca, e disponeva di un guardaroba e di una latrina riservata; la cavea (meanianum primum), con capienza molto più elevata, era destinata ai membri dell’ordine equestre; il terzo (meanianum secundum imum) e il quarto ordine (meanianum secundum summun), ancora più capienti, erano riservati ai cittadini comuni, mentre il settore che occupava la sommità dell’edificio (meanianum secundum in ligneis, poiché constava di gradoni in legno e non in pietra) accoglieva le classi inferiori e meno abbienti.
Per riparare gli spettatori dai raggi del sole durante le rappresentazioni che potevano occupare anche l’intera giornata, era stato predisposto un velarium, cioè 80 teli triangolari, messi in opera per mezzo di 320 funi di sostegno e “manovrati” da un distaccamento di marinai della flotta di Miseno. L’imperatore Vespasiano riuscì a vedere solo l’innalzamento dei primi due ordini di arcate, e i lavori vennero portati a termine dal suo successore e figlio Tito, che l’inaugurò nell’80 d.C. con giochi che durarono ben 100 giorni.
Da notare che l’Anfiteatro Flavio, benché indissolubilmente legato nell’immaginario collettivo alle gesta dei gladiatori, era destinato alla rappresentazione di una serie assai eterogenea di spettacoli, che andavano venationes (che implicavano la caccia e l’uccisione di animali preferibilmente esotici), alle esecuzioni capitali (sì, erano considerate uno spettacolo, e articolate in una serie di pene assai fantasiose e assai crudeli…), alle presunte naumachie (vere e proprie battaglie navali, rese possibili dall’allagamento della platea, anche se la loro effettiva attuazione resta dubbia).
Il Medioevo e la denominazione di “Colosseo”
L’Anfiteatro Flavio prestò la sua opera di principale edificio di spettacoli dell’Urbe (e dunque del mondo sino ad allora conosciuto) ininterrottamente dall’80 al 438, quando l’imperatore Valentiniano III abolì i ludi gladiatori e le venationes, un po’ perché con l’avvento del Cristianesimo era cambiato il vento, un po’ perché il moribondo Impero Romano non disponeva più degli ingentissimi fondi necessari a finanziare i giochi. Con il Medioevo arrivarono l’abbandono e la decadenza, ma giunse anche il nome “Colosseo” con cui il monumento è noto in tutto il mondo.
Non esiste una versione univoca circa l’origine dell’appellativo, noi ve le presentiamo tutte, voi regolatevi come preferite:
- “Colosseo” deriverebbe da una colossale statua che l’imperatore Nerone aveva fatto erigere a pochi passi dal luogo in cui sarebbe sorto l’Anfiteatro;
- “Colosseo” altro non sarebbe se non una contrazione di Collis Isei, cioè Colle di Iside, perché l’edificio era stato elevato nei pressi di un’altura che ospitava un tempio dedicato alla dea egizia Iside;
- “Colosseo” deriverebbe da una presunta destinazione d’uso e tempo degli adoratori del demonio, che avrebbero concluso le celebrazioni con la domanda retorica: “Colis Eum?”, cioè: “Adori Lui?”. Con quest’ultima etimologia, tuttavia, siamo nel campo della pura fantasia…
Colosseo, gli anni dell’abbandono e il costume dello spoglio
Nel Medioevo l’Anfiteatro Flavio andò incontro all’abbandono e alla rovina. Utilizzato dapprima come castello e poi come cimitero, prese ad essere circondato da un alone di leggende poco rassicuranti: correva voce, infatti, che fosse infestato dai fantasmi di tutti gli infelici periti nel corso dei cruenti spettacoli gladiatorii, che fosse teatro di riti propiziatori paganeggianti dove scorreva abbondante sangue di vittime sacrificali, addirittura che costituisse una delle sette porte di accesso all’Inferno.
Al netto delle superstizioni, tuttavia, il Colosseo iniziò anche una sorta di “seconda vita” come fonte di materiali edilizi, secondo la pratica, diffusissima fino al Rinascimento, dello “spoglio”: poiché le materie prime scarseggiavano e dato che le cave erano spesso molto lontane e difficilmente raggiungibili, si spogliavano i monumenti antichi di marmi e metalli da riutilizzare per elevare nuove costruzioni.
Senza il preziosissimo travertino e le finiture bronzee del Colosseo, oggi non avremmo né Palazzo Barberini, né la Basilica di San Pietro. Solo nel XVIII secolo con la nascita dell’archeologia, le antichità vennero considerate non più come un cumulo di macerie da sfruttare nel modo più conveniente possibile, ma quali vere e proprie vestigia del passato, oggetto di studio e tutela. Nel 1675 perse anche gran parte della fama stregonesca e lugubre attribuitagli nel Medioevo, allorché, nel corso del Giubileo indetto da papa Clemente X, venne inserito nell’elenco dei luoghi sacri, in virtù dei numerosi martiri cristiani che vi avevano trovato la morte. Una “consacrazione” sancita definitivamente nel 1744, quando Benedetto XIV vi fece collocare le 14 edicole che scandivano la Via Crucis.