
Basilica di San Pietro, il cantiere infinito
Basilica di San Pietro, ovvero, la maggiore delle basiliche romane – benché tecnicamente non si trovi a Roma, ma nella Città del Vaticano – e la chiesa di rito cattolico più grande del mondo. Nella sua prima veste era profondamente diversa dal capolavoro scintillante di marmo e bronzo, che si dischiude oggi dinanzi ai nostri occhi.
Anzi, nella sua prima vesta non era nemmeno una chiesa, ma un circo – il Circo di Nerone, destinato ad ospitare le corse delle bighe – del quale oggi resta solamente l’obelisco che svetta al centro della piazza. Oltre alle competizioni tra aurighi, il circo era adibito anche alle esecuzioni capitali, e, secondo la tradizione, proprio qui sarebbe stato crocifisso l’apostolo Pietro; come consuetudine, le ossa dei condannati venivano interrate in fosse comuni nei pressi del luogo dell’esecuzione.
Non fecero eccezione le spoglie di Pietro, ben presto oggetto di devozione da parte della sempre più numerosa comunità cristiana, che segnalò il luogo dell’inumazione elevandovi una piccola edicola.
La prima basilica costantiniana
Nel 313 d.C. l’imperatore Costantino riconobbe la liceità della religione cristiana e, insieme con sua madre Elena, patrocinò personalmente l’edificazione delle prime basiliche cittadine; a San Giovanni in Laterano (313) e Santa Croce in Gerusalemme, voluta fortemente dall’imperatrice Elena di ritorno da un viaggio in Galilea, fece seguito la Basilica di San Pietro, eretta esattamente al di sopra della sepoltura dell’apostolo e ultimata intorno al 333.
Benché assai imponente, era molto diversa dall’edificio odierno: con la sua pianta a croce latina, le cinque navate coperte da capriate lignee e il grande quadriportico d’accesso con il passare degli anni dovette sembrare fin troppo semplice e modesta ai pontefici eredi di Pietro.
Basilica di San Pietro, un secolo di lavori: Bramante, Raffaello e Antonio da Sangallo
Al ritorno dalla cattività avignonese, in seguito al trasferimento della residenza pontificia nei palazzi Vaticani (prima i papi vivevano in Laterano), Niccolò IV decise di avviare una sorta di ammodernamento della basilica, ma la sua morte, avvenuta nel 1450 interruppe il progetto sul nascere.
Qualche anno più tardi ci provò Giuliano da Sangallo, ma anche lui senza alcun risultato utile, finché papa Giulio II (il pontefice che commissionò a Michelangelo gli affreschi della volta della Cappella Sistina) non si risolse ad interpellare Donato Bramante. Bramante concepì una struttura a croce greca (cioè con tutti i bracci, e dunque le navate ed il transetto di eguale lunghezza) il cui elemento architettonicamente più rilevante, avrebbe dovuto essere un’amplissima e spettacolare cupola. Purtroppo, a causa della morte del papa prima e di Bramante a breve distanza, anche questo progetto non si concretizzò.
Alla direzione del cantiere subentrò quindi Raffaello – che di Bramante era stato pupillo e grande amico – coadiuvato da Baldassarre Peruzzi e Antonio da Sangallo il Giovane, che nel 1520, alla prematura scomparsa del maestro urbinate, rimase il solo incaricato dei lavori. L’enorme difficoltà, a questo punto, consisteva proprio nella lunga serie di architetti che avevano posto mano al progetto di rinnovo, imprimendogli una propria specifica connotazione; l’unico elemento che sembrava accomunare ogni prospetto era la posizione di assoluta centralità accordata alla cupola quale elemento distintivo della nuova basilica.
La cupola di Michelangelo
Dopo che anche Sangallo il Giovane ebbe elaborato, senza possibilità di applicazione, il suo progetto, il cui bellissimo modello in legno è custodito oggi nel sottotetto della basilica, la situazione appariva di difficile soluzione. I lavori, avviati nel 1450, nel 1546, quasi un secolo dopo, erano ancora ben lontani dal completamento.
È in questo momento che la direzione del cantiere è affidata a Michelangelo Buonarroti; un Michelangelo ormai settantenne e stanco, ma ancora non domo, pronto ad imprimere a quel lunghissimo work-in-progress che era l’edificazione della basilica, quella potenza e quella forza che sempre furono la sigla della sua arte. A lui si deve essenzialmente il progetto della cupola svettante sull’altissimo tamburo, progetto che tuttavia Buonarroti non riuscì a portare a termine, perché travolto da un’ondata di polemiche che lo costrinse alle “dimissioni” nel 1562.
Ricapitolando: è passato più di un secolo dall’inizio dei lavori, alla cui direzione si sono succeduti tantissimi artisti, ciascuno dei quali ha portato avanti un suo progetto personale, il cui unico tratto comune è dato dalla pianta a croce greca; la costruzione è arrivata a due terzi; il massimo architetto/scultore/pittore dell’epoca se n’è appena andato senza nemmeno poter ultimare la cupola più rivoluzionaria dell’arte italiana dai tempi di Brunelleschi, e non si sa come andare avanti…
Maderno vs. Bernini: come ti aggiusto la facciata chiatta
Insomma, quando Carlo Maderno, nel 1603, accettò la direzione dei lavori “offertagli” da papa Clemente VIII si prese una bella gatta da pelare. Eppure ce la fece, riuscendo a uniformare in modo armonico le campagne di lavori condotte sino ad allora. A Maderno si deve il ritorno a una pianta a croce latina, simile a quella dell’originaria basilica paleocristiana.
L’allungamento dell’aula finì per ridimensionare l’impatto visivo che la cupola michelangiolesca suscitava tanto all’interno quanto all’esterno dell’edificio, ma aveva il pregio di incontrare i favori del pontefice (che in fondo era quello che pagava…) e di assicurare una maggiore capienza alla basilica. Fu sempre lui ad imporre l’ordine gigante della facciata, con le altissime e possenti colonne ed il coronamento di statue.
Facciata che originariamente prevedeva anche la presenza di due campanili laterali e simmetrici che però diedero problemi di stabilità sin dall’inizio della loro edificazione, tanto che i lavori dovettero essere interrotti quasi subito. Gian Lorenzo Bernini, attivo alla realizzazione della piazza, decise di farli abbattere, apportando ulteriori modifiche alla facciata che definiva “quatta” (cioè chiatta, tozza) e limitando la scalinata di accesso alla sola porzione centrale.
La basilica fu finalmente consacrata il 18 novembre 1626 – anniversario della consacrazione della basilica paleocristiana – da papa Urbano VIII, che tuttavia passerà alla storia per il colossale baldacchino che sovrasta l’altare maggiore realizzato dal Bernini. Ma questa è un’altra storia e ve la racconteremo un’altra volta.