
Con lo sguardo al passato: Via della Conciliazione e la Spina di Borgo
La realizzazione di Via della Conciliazione – che collega Castel Sant’Angelo a Piazza San Pietro, e, più idealmente, lo Stato Italiano a quello Vaticano – costituisce l’ultimo, e sicuramente più controverso, intervento urbanistico nel cuore della “cittadella cristiana”. La realizzazione, a partire dal 1936, dell’imponente rettifilo progettato dagli architetti Marcello Piacentini ed Attilio Spaccarelli, infatti, comportò lo sventramento e la conseguente perdita di una larga parte del tessuto urbano di Borgo. In particolare, fu rasa al suolo la cosiddetta Spina di Borgo, un conglomerato di edifici, in gran parte di epoca medievale, che deve il proprio nome alla caratteristica forma di triangolo allungato, con la punta rivolta verso Castel Sant’Angelo.
E’ difficile farsi un’idea di come dovesse apparire l’area prima del radicale intervento: certamente, Piazza San Pietro non era visibile dal Tevere, come oggi, ma si rivelava improvvisamente ed inaspettatamente nella sua grandiosità al visitatore che fosse sbucato dalle anguste stradine della Spina. Una descrizione vivida e fedele del senso di meraviglia suscitato da questa visione ci viene da un romano d.o.c. come Alberto Sordi, classe 1920:
Via della Conciliazione e dintorni: il ricordo di Alberto Sordi
“Avevo quattro anni quando vidi per la prima volta San Pietro e fu proprio per il Gubileo del 1925. Ero in compagnia di mio padre, venivamo da Trastevere, dove ero nato in Via San Cosimato e dove vivevo con la mia famiglia. Arrivammo percorrendo i vicoli, che poi furono distrutti, di Borgo Pio: un ammasso di casupole, piazzette, stradine. Poi, dietro l’ultimo muro di una casa che si aprì come un sipario, vidi questa immensa piazza. Il colonnato del Bernini, la cupola. Un colpo di scena da rimanere a bocca aperta. Ecco, quello che ricordo di più di quel Giubileo fu questa sorpresa“.
E lo stesso Piacentini, ad opera conclusa, constatò perplesso che “Prima si aveva la sensazione di immensità del monumento e contemporaneamente se ne gustavano i particolari che oggi – in qualche senso – sembrano perduti nell’immensità della cornice“.
