
Il barbiere e l’asso di coppe: Fontana di Trevi
Su Fontana di Trevi non c’è molto da dire. O meglio, ci sarebbe tantissimo, ma lo conoscono più o meno tutti: iniziata da Nicola salvi nel 1732 ed ultimata da Giuseppe Pannini trent’anni più tardi, dedicata al mare, alle sue divinità e alle sue creature, inserita in un’opulenta cornice tardo-barocca di marmo, intonaco, stucco e metalli, è probabilmente la fontana più famosa della città. Nelle sue acque si bagna la splendida Anita Ekberg ne ‘la Dolce Vita’ di Federico Fellini; la sua magnificenza da il titolo a ‘Tre Soldi nella Fontana’, pellicola del 1954 di Jean Negulesco; Totò riesce addirittura a venderla a un ingenuo turista, fingendo di esserne l’unico e legittimo proprietario in ‘Totòtruffa ‘62’. Ma la storia del grande vaso di travertino (che i romani chiamano l’asso di coppe, per la sua evidente somiglianza con la carta da gioco), palesemente fuori posto nel contesto architettonico, la conoscono in pochi. Secondo la leggenda (ma si tratta di una leggenda abbastanza accreditata, tanto da far ritenere che ci sia almeno un fondo di verità), un barbiere che aveva la sua bottega sul lato destro della piazza, trascorreva le sue giornate disapprovando a più riprese la fontana e i suoi gruppi marmorei, allora ancora in fase di costruzione. Queste continue critiche giunsero alle orecchie di Nicola Salvi, che, esasperato, nottetempo fece scolpire l’enorme vaso proprio di fronte alla bottega del malevolo barbiere. Evidentemente come architetto Salvi sapeva il fatto suo. Evidentemente era bravissimo nel calcolare le fughe prospettiche. Perché se vi ponete di fronte all’asso di coppe, non vedrete proprio nulla, né le statue, né la scogliera artificiale, né i getti d’acqua. Con buona pace del barbiere criticone.